Storie e Leggende del salento: racconti dai borghi.

Storie e Leggende del salento: racconti dai borghi.

Siamo immersi nelle storie come pesci nell’acqua, ci siamo dentro senza saperlo eppure non ne possiamo fare a meno. Le storie sono il punto d’intreccio tra le genti e i luoghi. Il territorio si plasma come creta sotto la spinta di una storia da raccontare, lascia segni concreti e dettagli in cui inciampare per ritrovare mondi fatti di volti antichi e sentimenti forti.

Le storie vivono di necessità, come quella d’amare di cui vibravano Vito e la sua amata, tra le stradine pallide di Lecce, ma anche la sirena Leucasia, distesa sulla costa di Leuca. La necessità di vivere spingeva gli abitanti di Corsano a inerpicarsi per scogli aguzzi e sentieri nascosti, e quella di ritrovarsi accomunava gli ebrei e i polacchi, giunti in Salento, con le tarantate che si recavano in pellegrinaggio alla cappella di San Pietro e Paolo. Storie piccole, a volte nascoste nei luoghi, che diventano tessere di un grande mosaico che parla di noi, di tutti noi, diversi eppure sempre incredibilmente simili. È il valore principale della leggenda quello di mescolare i secoli conservando il sentimento.

Lecce
Via Federigo D’Aragona è nel cuore del centro storico di Lecce, nella direzione di Porta San Biagio e immersa nei ricami barocchi della pietra leccese, che impreziosisce chiese e balconi. Ci passano in tanti per questa strada eppure in pochi notano un volto di fanciulla scolpito nella pietra, che dall’alto guarda i passanti. Il suo sguardo racconta una storia d’amore.

Un tempo in quell’angolo di Lecce abitavano due ragazzi che si erano innamorati. Un amore che non poteva essere, perché lei era figlia di un ricco mercante della città e lui era un povero garzone di bottega, nonostante questo ogni sera si aspettavano alla finestra e accendevano una candela. Il padre, per impedire questo amore silenzioso, decise di murare la finestra e di promettere la ragazza in sposa ad un altro giovane. La figlia però non poteva accettarlo e decise di togliersi la vita. Il tempo passò e un giorno sulla palazzo dove abitava la ragazza comparve un volto scolpito nella pietra dalle mani sapienti di mesciu Gonzalu.

Il ragazzo aveva risparmiato ogni centesimo per realizzare l’opera, perché nessuno dimenticasse la grandezza del loro amore e perché lui ogni sera potesse continuare ad affacciarsi alla finestra, sapendo che lei avrebbe sempre cercato nel buio la fiamma della sua candela.

Santa Maria al Bagno, Nardò
Santa Maria al Bagno, marina di Nardò, è un paradiso di acque lucenti, carezzato dalla sabbia fine e dalla scogliera. Pochi passi più in là si trovano le quattro colonne, resti di un’antica torre d’avvistamento, che oggi sono diventati i simboli di questa marina.

Le acque limpide non sono le uniche bellezze di Santa Maria al Bagno, di una bellezza diversa risplendono le ville costruite tra Ottocento e Novecento. Un delicato stile Liberty s’intreccia alle forme piene e sinuose del barocco e si mescola ancora con i decori in stile moresco. Si tratta insomma di vere e proprie opere d’arte architettonica, che negli anni Cinquanta sono diventate scenario della storia.

Proprio queste ville hanno accolto ebrei e soldati polacchi che erano stati liberati dai campi di concentramento tedeschi. Campi d’accoglienza vennero organizzati in tutto il Salento ma a Santa Maria al Bagno si trovava quello più grande. Giunsero che non avevano nulla, ormai avevano anche perso il filo della loro identità. Il calore dell’accoglienza li aiuto a rialzarsi in piedi, a crearsi un’autonomia. Il racconto di questa storia resta grazie ai murales realizzati da Zivi Miller, custoditi oggi nel Museo della memoria e dell’accoglienza di Santa Maria al Bagno.

Otranto
A Otranto si incontra la Storia, che si racconta da sola nel borgo racchiuso dalle mura medievali. Il castello resta custode di un luogo che oggi non teme minacce ma che in passato ha conosciuto l’assedio terribile dei turchi. Questa è una ferita ancora aperta, non se la può dimenticare la Cattedrale di Santa Maria Annunziata, che venne trasformata in moschea e vide distrutti i suoi affreschi.

Attraversando il monumentale mosaico che ricopre il pavimento, si arriva alla cappella dove grandi teche custodiscono i resti degli ottocento martiri che nel 1480 rifiutarono di convertirsi all’Islam. Una sorte peggiore è toccato al Monastero di San Nicola di Casole, situato fuori dall’abitato.

Oggi di questo luogo restano solo pochi resti ma nel medioevo è stata l’abbazia importante del meridione. Qui venivano mandati a studiare i giovani di tutta Europa, venne fondato un circolo poetico, guidato dall’abate letterario e si parlava il greco bizantino, che si è poi diffuso in tutto il Salento proprio a partire da questo centro. Con le sue mura venne anche distrutta la biblioteca in cui erano conservati volumi e pergamene di valore inestimabile.

Salve
Il canale dei fani è un luogo magico che si trova nel territorio di Salve. È immerso nella natura e poco frequentato e questo fa sì che ancora oggi la vegetazione sorga spontanea e che si possono trovare anche specie botaniche rare. Alcuni dicono che il canale dei fani sia stato scelto come dimora da fate e folletti dei boschi, vero o no resta senza dubbio il fascino di un luogo fiabesco.

Prima ancora dell’anno Mille però vicino a questo luogo si trovava il villaggio di Cassandra, popolato da persone che vivevano del lavoro della terra. Nicolino era uno di questi, era un pastore e un giorno inseguendo il suo gregge si ritrova all’entrata di una grotta.

Si addentra fin quando non si ritrova davanti ad un trappeto ipogeo, cioè scavato nella roccia. I trappeti venivano utilizzati per la produzione dell’olio ma nelle vasche, al posto delle olive, Nicolino trovò sassolini d’oro e una macina che si muoveva da sola. Nicolino corse a chiamare gli altri che appena arrivarono cercarono di prendere i sassolini d’oro. In un attimo la macina si fermò e tutto si trasformò in un vecchio rudere, compresi i sassi che diventarono di roccia.

Sulla macina comparve una scritta “Poppiti ca avutru no ssiti, tiniti l’oru intri mani e no lu sapiti” che significa “stolti che altro non siete, avete nelle mani l’oro e non lo sapete”, in riferimento all’olio d’oliva, l’oro verde del Salento.

Galatina
Una cittadina signorile, elegantemente abbellita dalle armonie morbide del barocco, dai decori che si affacciano dai palazzi e dalle chiese chiare, su cui spiccano statue di santi accostate a un tripudio di fiori e di frutti. A Galatina si trova anche uno degli esempi più belli dello stile Romanico Pugliese: la Basilica di Santa Caterina d’Alessandria, ricca di colori e dipinti magnifici. Molto più umile e semplice è invece la cappella di San Pietro e Paolo, a pochi passi dalla chiesa madre.

Questo piccolo luogo sacro diventa protagonista indiscusso, ancora oggi, il 28 e il 19 giugno, quando si festeggiano i santi patroni e in particolare San Paolo. Fino alla metà degli anni Cinquanta del ‘Novecento, da ogni parte del Salento arrivavano qui i tarantati, quelle donne e quegli uomini che erano stati morsi dalla taranta.

Arrivavano in pellegrinaggio per chiedere al santo la grazia. Giungevano vestiti con abiti bianchi e davanti alla cappella il loro corpo iniziava ad essere posseduto. Davano vita ad una danza che veniva accompagnata da tamburelli e violini, mentre la gente intorno osservava e agitava le “zagareddre”, nastrini colorati. I tarantati continuavano questa danza concitata, si spogliavano, sudavano e si avvicinavano ai nastri, in cui ogni colore simboleggiava una sofferenza. Alla fine San Paolo faceva la grazia e liberava il corpo dal male della taranta, il tarantato si accasciava a terra stremato.

Santa Maria di Leuca
Leuca è il lembo estremo del Salento, uno dei luoghi sacri più suggestivi della penisola. Il suo santuario, a due passi dal faro, si trova su un alto promontorio da cui si può vedere l’intera Leuca, con le sue casette e le sue ville accoccolate sull’alta scogliera. Il punto più a Sud del Salento in realtà è Punta Meliso, uno sperone roccioso che si trova sulla litoranea, poco lontano da Punta Ristola. Meliso e Ristola sono i due giovani protagonisti di una leggenda.

Si racconta che nelle acque di Leuca viveva la sirena Leucasia, di cui tutti erano innamorati. Un giorno Leucasia vide dagli scogli il pastore Meliso, l’unico che non le prestava mai attenzione. Leucasia provò a sfoggiare la sua bellezza e il suo dolce canto ma Meliso non aveva occhi per lei perché era innamorato di Ristola, una giovane ragazza. Un giorno Meliso porta Ristola a vedere il tramonto sul mare, Leucasia presa dalla gelosia scatenò una violenta tempesta, i venti agitarono le acque che risucchiarono i due giovani.

Quando tutto passò Meliso e Ristola erano diventati due punte rocciose, destinate a guardarsi da lontano per sempre. Leucasia capì che aveva solo diviso due corpi ma non il loro amore, stremata e affranta si accasciò dove oggi sorge la bianca Leuca.

Gallipoli
A Gallipoli vecchia si sente il profumo del Mediterraneo, infiltrato tra i nodi delle nasse e dei pescherecci, accolto dal sole che riscalda le chiese barocche lavorate nel carparo. I vicoli lastricati sono i custodi di piccoli segreti nascosti, edicole votive sui toni bianchi della calce, cappellette che si affacciano sulla baia della Purità e sull’infinito blu del mare che nei secoli ha visto salpare navi cariche di olio lampante e pescatori fiduciosi.

Sul mare si affaccia anche la chiesa di San Francesco d’Assisi, che nel Seicento ha accolto il Malladrone, una statua in legno del cattivo ladrone che era stato posto accanto alla croce di Cristo. Da secoli le sue vesti continuano a lacerarsi e devono essere sempre sostituite.

C’è chi dice che sia il mare, che si insinua tra le mura della chiesetta e sfalda il tessuto, c’è invece chi dice che sia la punizione per non essersi mai pentito dei suoi peccati. Il Malladrone però non se ne cura e continua a restare immobile nel suo sorriso beffardo, nella sua “orrida bellezza”, come lo ha definito Gabriele D’Annunzio.

Patù
Patù è uno dei piccoli comuni del Capo di Leuca. Piccolo, essenziale eppure ricco di storia. Su un altura vicina all’abitato si trova la collina di Vereto, che guarda alle scogliere della marina di San Gregorio e butta ancora di più lo sguardo verso il mare vicino.

Questa altura in passato è stata un punto strategico molto importante, uno dei centri essenziali dell’antica Veretum, un’importante città, giunta all’apice della sua grandezza con i Messapi. Veretum era molto grande, sue tracce sono state trovate a Leuca, a Morciano e poi sono emerse dalle acque di San Gregorio e della vicina località di Pozzo Pasulo.

La sua rilevanza venne rasa al suolo con le scorrerie dei Saraceni, che capirono il valore strategico di Veretum e cercarono di sottometterla. Vani sono stati i tentativi di bloccarli. Giminiano, generale dell’esercito di Veretum, venne mandato per cercare di avanzare delle trattative di pace ma i Saraceni non conoscevano l’arte della diplomazia e lo trucidarono.

Alcuni dicono che in suo onore sia stato eretto il monumento delle Centopietre, un luogo immerso in un fascino arcaico che si trova di fronte alla chiesa di San Giovanni. Il suo significato è ancora da decifrare e la sua storia è avvolta nel mistero.

Corsano
Intarsi di roccia carsica si snodano tra il verde profumo della macchia mediterranea e il blu immenso del mar Adriatico, mentre il sole crea continui giochi di luce sugli scogli alti e aguzzi. A pochi passi da Santa Maria di Leuca, all’interno di questo panorama si trovano le vie del Sale di Corsano, che dal mare conducono all’entroterra e si snodano tra gli anfratti dei sentieri rurali, arricchiti da pajare e muretti a secco.

Il mare regala sempre ciò che ha, lo dona come se non fosse elemento indissolubile della sua essenza. Lo sapevano gli abitanti di Corsano, che in un difficile periodo di povertà, capirono che potevano ricavare il sale dal mare e che potevano rivenderlo, ma solo di contrabbando perché a quel tempo esisteva il monopolio.

Tutta la comunità aveva organizzato un sistema ben collaudato: i bambini e le donne facevano da vedetta, nascosti tra la vegetazione, e gli uomini raccoglievano il sale, depositato nelle saline improvvisate. Lo mettevano in grandi sacchi e lo trasportavano lungo i tratturi, a piedi nudi. Un andirivieni silenzioso ma continuo ed incessante.

Oggi le vie del sale sono diventate sentieri turistici, la più importante è chiamata N’sepe e conduce dalle campagne alla marina di Funnu Vojere, dove si possono vedere ancora le antiche saline.

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